Secondo uno studio, Google non distinguerebbe i bot dagli esseri umani, danneggiando così chi paga per mettere la pubblicità.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 25-09-2015]
Il funzionamento della pubblicità online è, in linea di massima, piuttosto semplice da capire: l'inserzionista paga il sito che ospita il banner pubblicitario in base al numero di clic fatti dagli utenti, oppure in base al numero di visualizzazioni.
Su YouTube è in vigore questa seconda modalità: maggiore è il numero di visualizzazioni che uno spot riceve, maggiore sarà la cifra che l'inserzionista dovrà pagare a Google.
A complicare le cose pensano i bot, programmi che per vari scopi simulano il comportamento di un utente umano, compresa la visualizzazione delle pubblicità: compito di AdWords, il sistema che gestisce gli spot su YouTube, sarebbe quindi adottare algoritmi efficaci che distinguano gli esseri umani dai bot.
Proprio qui sta il problema: uno studio europeo, ripreso dal Financial Times, ha dimostrato come il conteggio dei bot da parte di AdWords non sia per niente efficace, e come invece consideri erroneamente reali molte visualizzazione fasulle.
Per scoprirlo, i ricercatori hanno fatto visualizzare a dei bot e a degli utenti reali alcuni video su YouTube, dopo aver acquistato della pubblicità.
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Il sistema di conteggio di YouTube ha funzionato bene, evitando di conteggiare le visualizzazioni dei bot; quello di AdWords, invece, ha fatto passare per buone anche molte visualizzazioni fasulle.
Per la precisione, laddove il sistema di YouTube ha conteggiato 25 visualizzazioni regolari, AdWords ha creduto che queste fossero ben 91.
È evidente come un errore del genere penalizzi pesantemente gli inserzionisti, che si trovano a dover pagare per della pubblicità che in realtà non viene mai vista da un essere umano.
Google, dal canto proprio, afferma di essere in buona fede. Contattata dai ricercatori, l'azienda ha ammesso che gli algoritmi possono non individuare tutto il traffico da ignorare e anzi possono scambiarlo per legittimo; ha definito quindi «importante» il contributo fornito dallo studio proprio per migliorare detti algoritmi.
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